NOSTALGIA: E’ L’AMORE CHE RIMANE – Angelo Nocent

DON CARLO GNOCCHI SUL DOLORE INNOCENTE: “Nella misteriosa economia del cristianesimo, il dolore degli innocenti è comunque permesso perché siano  manifeste le opere di Dio e quelle degli uomini, l’amoroso e inesausto travaglio della scienza, le opere multiformi dell’umana solidarietà”.

DON TONINO BELLO Vescovo: «Se dovessimo lasciare la croce su cui siamo confitti (non sconfitti), il mondo si scompenserebbe. È come se venisse a mancare l’ossigeno nell’aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte. La sofferenza tiene spiritualmente in piedi il mondo. Nella stessa misura in cui la passione di Gesù sorregge il cammino dell’universo verso il traguardo del Regno».

E ancora: «Il nostro dolore alimenta l’economia sommersa della grazia. È come un rigagnolo che va ad ingrossare il fiume del sangue di Cristo. Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l’amore di Dio… Anche noi, sulla croce, rendiamo più pura l’umanità e più buono il mondo… Il Calvario non è soltanto la fontana della carità, ma anche la sorgente della grazia».

CARLO MARIA MARTINI – Tutti soffriamo a causa di errori anche nostri, e tuttavia c’è una gran parte degli uomini che soffre più di quanto non meriterebbe, più di quanto non abbia peccato: è la gente misera, oppressa, che costituisce i tre quarti dell’umanità. Questa folla immensa fa nascere il problema: perché? che senso ha? è possibile parlare di un senso?
Il cardinal Martini riflette sul mistero della fragilità e del dolore innocente a partire dall’icona di Giobbe, figura grandiosa dell’Antico Testamento, simbolo di ogni uomo che soffre.
Il messaggio biblico è di straordinaria consolazione: l’uomo percepisce la propria fragilità e la provvisorietà di ogni cosa, ma solo quando accetta di fidarsi di Dio compie un percorso di crescita verso la verità, accettando il proprio limite e trovando le risorse necessarie per affrontare il tempo della prova. 

1-Rogério Brandão oncologo.jpgDr. Rogério Brandão, oncologo – Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.

Ricordo con emozione l’Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l’infermeria infantile e mi sono innamorato dell’oncopediatria.

Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!

Vedo quell’angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia.
Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo.
L’ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!

Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma.

Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.

«A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!».

«Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?», le chiesi.

«Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero?».

(Mi sono ricordato delle mie figlie, che all’epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)

«È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!».

Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.

«E la mia mamma avrà nostalgia», aggiunse.

Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: «E cos’è la nostalgia per te, tesoro?».

«La nostalgia è l’amore che rimane!».

Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l’amore che rimane!

Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori.
Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.

Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante. Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l’aiuto che mi hai dato.Che bello che esista la nostalgia! L’amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

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BUONA PASQUA 2022 – Angelo Nocent

Pasqua

PASQUA 2022
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1 – MISSIONI AFRICANE E SOLIDARIETA’

di Luca Beato O. H.

Quando Fra Fiorenzo Priuli era giovane religioso e mio allievo a Milano (1966/68) con una grande Mostra missionaria, una Grande Lotteria, che ha coinvolto tutte le case della Provincia religiosa ed altre iniziative, abbiamo raccolto fondi sufficienti per costruire il Padiglione della Pediatria dell’ospedale di Afagnan. Nel 1971 vado a visitare Afagnan: trovo la nuova Pediatria ancora vuota e Fra Fiorenzo alle prese con una trentina di bambini malati, accompagnati dalle loro mamme, in una casamatta ai margini della proprietà. Alla mia richiesta, il Priore, Padre Onorio Tosini, ha risposto: “Con quali mezzi la facciamo funzionare?”. Poco dopo la Provvidenza è arrivata tramite l’Associazione svizzera “Terre des hommes”.

I Fatebenefratelli della Provincia Lombardo-veneta, quando nel 1961 hanno deciso di andare a curare i malati in Africa, a seguito di pressanti suppliche di alcuni Vescovi africani, hanno fatto delle scelte ben precise:

–  Hanno deciso di fare degli ospedali veri e propri, e non soltanto dei dispensari, perché solo così si possono salvare delle vite umane, altrimenti si andrebbero a curare le malattie che guariscono anche da sole.

–  Hanno costruito gli ospedali nelle zone più povere e sguarnite di assistenza, indicate dalle autorità religiose e civili del posto e li hanno attrezzati a dovere. Ad Afagnan non c’era ancora la strada e i camions dovevano viaggiare attraverso la brousse.

–  Hanno deciso di andare a curare i malati poveri, seguendo l’esempio del loro Fondatore San Giovanni di Dio. I ricchi si potevano curare negli ospedali delle città, anche senza l’intervento dei Fatebenefratelli.

La scelta dei Fatebenefratelli all’inizio degli anni sessanta è stata coraggiosa ed impegnativa. Curare i malati poveri, infatti, comporta l’impegno a reperire Fondi in continuazione, anno per anno, in Italia e all’estero per coprirne le spese. E vi assicuro che non è mai stato facile. Vi porto un esempio significativo.

In Africa, come nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo, ci sono gli ospedali dello Stato nelle principali città, abbastanza ben attrezzati, con pianta organica di medici, infermieri e tecnici, ma i malati devono pagare anticipatamente medicinali e materiale sanitario per tutte le prestazioni, perché quasi non esistono mutue o assicurazioni, quindi i poveri non vi possono accedere, a meno che riescano a fare una colletta tra parenti. Cosa che per gli adulti si usa fare, ma non per i bambini. L’ospedale statale non fornisce cibo, all’alimentazione dei malati ci devono pensare i parenti.

 Ma i Fatebenefratelli ad Afagnan e a Tanguiéta danno accesso alle cure anche a quelli che non hanno i mezzi per pagarsele. Vale qui la testimonianza di un nostro missionario, intervistato nel 1998 dalla TV di Bassano del Grappa: “Dai nostri ospedali non è mai stato respinto nessuno perché non aveva soldi da pagare” (Fra Gilberto Ugolini).

 Qualcuno dirà: “A più di cinquant’anni dall’indipendenza, non sono migliorate le condizione di vita della gente del Togo e del Benin?”

Veramente si sono verificati tanti miglioramenti: ci sono religiosi africani in buon numero e in giovane età; c’è abbondanza di medici e infermieri africani; si è attuata l’emancipazione dell’Africa dalla Provincia–madre, mediante la creazione della Provincia religiosa del Togo e del Benin dal titolo “Provincia di San Riccardo Pampuri d’Africa”. Ma la situazione economica del Togo e del Benin dall’indipendenza (1960) ad oggi è non è migliorata granchè, mentre in Italia dal 1946 ad oggi il benessere si è moltiplicato 14 volte. Anzi, la moneta locale, legata al Franco francese, all’inizio degli anni novanta è stata svalutata del 50%. Questo significa che da un giorno all’altro la gente si è ritrovata il doppio più povera di prima. In seguito la situazione si è stabilizzata, specialmente con il legame alla moneta europea.

Gli Ospedali di Afagnan e di Tanguiéta all’inizio avevano soltanto 82 posti letto e solo due medici (un chirurgo e un internista). Ora Afagnan ha 270 posti-letto e Tanguiéta addirittura 421 e una ventina di medici di varie specialità. Sono dotati di pronto soccorso con pronto intervento giorno e notte e coprono un territorio di 200.000 abitanti. Tanguiéta è Ospedale di zona riconosciuto dallo Stato e Afagnan lo è solo di fatto. Collaborano con l’Università di Lomé e di Parakou per i tirocini universitari. Sono circondati da tanti dispensari e praticano la medicina preventiva nel loro territorio.

Associazioni benefiche che aiutano le missioni

Anche in Italia sono successe delle novità. Nel territorio della Provincia Lombardo-veneta sono sorte tre Associazioni benefiche onlus che aiutano le Missioni africane.  

  • Amici di Tanguiéta, Presidente Marta Anzani, fondata il 9 Ottobre 1984 con Sede a Meda (MI) Viale Brianza, 117. Ha lo scopo precipuo di sostenere la Pediatria dell’Ospedale di Tanguiéta, fondata da Carloluigi Giorgetti. Si occupa anche della formazione del personale medico e infermieristico.
  • Gruppo Solidarietà Africa = G.S.O.  Presidente Dr. Paolo Viganò, costituita nel 1997, anche se operante da tempo, con sede a Seregno (MI) Via S. Benedetto, 25.                           Un gruppo di medici che ogni tanto aiuta Fra Fiorenzo Priuli principalmente per le attrezzature del laboratorio analisi e della Radiologia.
  • Uniti per Tanguiéta e Afagnan = U.T.A. Presidente Fra Luca Beato, fondata il 5 Settembre 1996 con Sede in Via Ca’ Cornaro, 5  a  Romano d’Ezzelino (Vicenza). Si occupa principalmente del recupero dei bambini poliomielitici, dei bambini che rischiano di morire di fame e dei malati di AIDS.

 Ci sono poi altri gruppi che aiutano gli Ospedali africani: in Italia, in Svizzera, in Francia e in Spagna. E’ una vera Provvidenza!

Fatebenefratelli: missionari un po’ strani

Quando pensiamo ai missionari, ci immaginiamo dei Sacerdoti che lasciano la propria terra e vanno a predicare il Vangelo ai popoli che non ne hanno ancora avuto notizia. I Fatebenefratelli invece non sono così: non sono preti, non predicano, non fondano Chiese, non fanno catechismo e non battezzano. Sono andati in Africa  esclusivamente per aprire ospedali e dispensari per curare i malati.  

La cura dei malati è per il Cristianesimo come un biglietto da visita. Essa mostra con i fatti la bontà del Dio dei cristiani. I Fatebenefratelli curano i malati, specialmente quelli poveri. Questo fatto parla da solo e fa riflettere la gente: “Perché queste persone non lavorano per fare soldi, ma unicamente per fare del bene a gente che ne ha bisogno?”

Fra Fiorenzo Dr. Priuli nel mio viaggio in Africa del 2007 mi ha raccontato che il Vescovo di Natitingou, Mons. Pascal Nkoue, parlando alla comunità ospedaliera di Tanguiéta, nella Festa di San Giovanni di Dio, ha riconosciuto ufficialmente che la carità che si esercita nell’ospedale dei Fatebenefratelli è alla base di tante conversioni al Cattolicesimo nella sua Diocesi: il 10% in più rispetto alle altre Diocesi.      

  Gli iniziatori: Don Gérard, P.Onorio, R.Canziani, P.Mosè, A.Fusini e Fra Aquilino

Gruppo dell’UTAONLUS con i malati a Tanguiéta (2001)

La popolazione indigena ringrazia il Dio dei cristiani per l’ospedale che cura tutti

Finestra

Nuovo pronto soccorso di Tanguiéta (Benin)

Ecco come sarà il nuovo PRONTO SOCCORSO dell’ospedale di Tanguiéta (Benin)

L’ospedale di Tanguiéta in 50 anni è passato da 82 a 421 posti letto, è diventato Ospedale di zona del territorio dell’Atacora di circa 200.000 abitanti, comprendente i centri di Tanguiéta, Materi e Cobly e collabora con l’Università di Parakou per i tirocini di medicina e chirurgia. Il progetto del nuovo pronto soccorso prevede un ambiente completamente nuovo capace di 24 letti, 12 per adulti e 12 per bambini con adeguata équipe sanitaria, comprensivo anche della Farmacia aperta al pubblico e della Stomatologia. La spesa prevista è di € 730.000,00.  

I lavori di costruzione sono quasi arrivati al tetto. Ora occorre pensare a riempire il pronto soccorso: occorrono i letti meccanici per i bambini e per gli adulti (€ 1900 c/d) e l’impianto dell’ossigeno (€ 45.900,00).

Nutriamo tanta speranza nella Divina Provvidenza e specialmente in San Riccardo Pampuri, Titolare e Protettore della Provincia religiosa d’Africa.


Bonifico a UTAONLUS – Volksbank Iban: IT64 E058 5660 9001 6657 0004 248  

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NATALE 2021 -Angelo Nocent

Angelo Nocent

Dire capofamiglia quando vige la parità dei coniugi, è parlare d’altri tempi, proprio come faremo. In quanto al “Natale minestra riscaldata”, leggo su internet che “l’aspetto più bello del Natale è proprio quello comunemente DEPLORATO DAI MISTICI: il fatto che è stato commercializzato. L’acquisto di doni stimola un’enorme gara di ingegno”. Auguro buona fortuna ai gareggianti. E provo tanta pietà per i perdenti. Perché viene spontanea la domanda: Natale senza Gesù Bambino si può fare?

Per la verità è già successo: “E’ venuto ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11); ed è stato costretto a nascere in una stalla “perché non avevano trovato altro posto” (Lc 2,7). Alcuni continuano ad escluderlo ed è un peccato che non si rendano conto di cosa si perdono: non avranno né la tenerezza né il sentimento del Cielo, nascosti nel Neonato ma solo suggestioni artificiali e colorate bolle di sapone. Per carità, meglio che niente…! Ma forse la colpa è anche nostra: duole infatti constatare che la culla del presepe intenerisce grandi e piccini, ma non turba le coscienze il sapere che siamo in presenza di un DIO IN GINOCCHIO:spogliò se stesso (non della camicia) prendendo la forma dello schiavo e diventando simile agli uomini. E, riconosciuto uomo dal suo esteriore, si abbassò (ancora), facendosi obbediente fino alla morte e fino alla morte di croce.”

Paolo scrive ai Filippesi perché anche noi intendiamo: “Abbiate in voi i sentimenti che furono nel Cristo Gesù”. Significa che siamo chiamati a imitare Colui che «essendo ricco» di tutte le ricchezze del cielo, «è stato povero per causa nostra, per arricchirci con la sua povertà» (Fil 2,7-11). Solo apparenza, esteriorità? No: sostanza, essenza, anima e cuore. Ogni altra immagine di Dio è mistificazione.

LA LITURGIA NATALIZIA

ET VERBUM CARO FACTUM EST.”, Colui che è “la Parola” è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi uomini”.Noi abbiamo contemplato il suo splendore divino.”(Gv1,14). L’evangelista sembra dirci: non è leggenda, vieni e vedi coi tuoi occhi quello che è successo.

Sapientemente nel messale vengono mescolati due ingredienti:

poesia, forma d’arte che suscita diverse emozioni variabili da persona a persona e che permette di andare nell’Oltre. Così ci aiuta a scavare a fondo nella coscienza e prova a lasciare un segno che serva per la vita.

Che Dio è amore”(1Gv.4,8) non l’aveva mai detto nessuno. Solo un poeta ispirato ha potuto sintetizzare l’Eterno in poche sillabe: quel Giovanni che nell’ultima cena aveva potuto posare il capo sul petto del Maestro e che poi ha preso Maria in casa con sé: “perciò parliamo a voi di ciò che abbiamo visto e udito; così sarete uniti a noi nella comunione che abbiamo con il Padre e con Gesù Cristo suo Figlio.”(1Gv1,1-4).

realismo: “Essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto.”(Lc 2,7).

Sin da bambino mi sono state inculcate le parole di san Luigi Grignion de Monfort: “Ad Jesum per Mariam”: Le ho sentite risuonare da tutti i pulpiti e l’eco non si è esaurita perché il miracolo perdura: Gesù viene al mondo per mezzo di Maria che ad un certo momento ci prende per mano, ci rialza dal torpore del nostro individualismo egoistico, c’insegna ad amare quel Figlio che non ha mai cessato di DONARE AL MONDO e che, nella Chiesa, RIGENERA nei cuori.

Ebbene sì: Maria entra nella vita delle persone o da piccoli, perché siamo semplici e l’accogliamo come un volto rassicurante, o da grandi, quando scopriamo che siamo poveri, limitati e viene a visitarci la sofferenza. Perché una misteriosa voce interiore ci dice che Lei può tutto sul cuore di Dio.

Le “ASSI” sono un luogo NON DI FUGA ma di SOSTA, di ristoro spirituale da secoli: (santüare dala Madòna dèle As XIV sec.). Quando mettiamo dentro la testa, lo avrete provato di sicuro: veniamo subito attratti dallo splendido volto di Lei che tiene sulle ginocchia il Bambino. E’ un immediato invito di Maria a farci piccoli come Lui, a desiderare di finire tra le sue braccia, senza timore di ingelosire il nostro fratellino Gesù. Oh! Rendiamocene conto: è una scena di luce incandescente e di colori che da secoli balena sopra il nostro ristretto orizzonte “muccese” di privilegiati senza alcun titolo.

LA PENSANO COSI’ ANCHE I GIOVANI ?Già poco inclini al devozionale della tradizione popolare (novene, coroncine, medaglie, preghiere particolari) e senza voler generalizzare, temo che la Madre di Dio sia conosciuta solo superficialmente, per via di una nostra narrazione condotta più sui privilegi, il miracolistico e lo straordinario che sulla sua quotidianità, sul carnale. Noi adulti osserviamo imbarazzati il fenomeno dell’inaridirsi del culto mariano (e non solo), ma poi…Non ci rendiamo conto che l’accettazione statistica del declino produce un meccanismo di rassegnazione, anche a livello inconscio, che rischia di dare vita non a un “ospedale da campo”,come ci chiede il Papa,ma a una comunità in ritirata. E’ grave. Perché Lei, “Casa di Dio”, “Porta del cielo”, “Stella del mattino”, (Domus Dei, Ianua coeli…Stella matutina… come cantavano magari in latinorum le nostre nonne, è anche creatrice di relazioni terrene, trasmette ed elabora l’arte del vivere e insegna a non smarrire la polifonia delle voci, a cominciare da quella lontana dei profeti: “ha mandato in rovina i progetti dei superbi. Ha rovesciato i potenti dai loro troni…) (Lc 1, 46ss).

Lei ci raggiunge quando siamo ubriachi di gioia ma anche quando versiamo lacrime, quando i figli prodighi se ne vanno e quando fanno ritorno, quando ci si separa perché l’amore sembra finito e quando l’anziano perde il senno e la salute. Lei è di casa dove si parla al cuore, dove la vita nasce ed è custodita negli anni. Perché la sua presenza in terra è stabile, presente in ogni evento dei giorni feriali.

A farne senza, si può? Tanti ci provano, inconsapevoli di correre un rischio mortale. Perché Maria è il respiro dell’anima, è quella cassaforte dove Dio ha posto tutte le Sue grazie (gratia plena, Dominus tecum), è una strada, la scorciatoia per raggiungere la meta.

Disgraziatamente, il clima che respiriamo è fosco, crepuscolare. Si attribuisce la colpa alla pandemia. Ma ci fa male ammettere che la nostra esistenza ha le sue oscurità che derivano da ben altre ragioni. C’è un peccato che si chiama APATIA e che non confessiamo mai. I suoi sinonimi sono indolenza, indifferenza, accidia, tutte cose che fanno male all’anima ma anche al corpo. Esorcizzare le paure ricorrendo alle luci artificiali serve? E’ un palliativo, un rimedio attenuante, che serve più a confondere che a chiarire la nostra visione della vita. Stentiamo a crederci: ma sopra la nostra umanità delusa, sopra il panorama umano, la luce chiara come quella dell’aurora si chiama MARIA, nostra speranza. Di lei non si finirebbe mai di tesserne le lodi. Jacopo Tomadini (1820-1888) in pochi semplici versi ha saputo mirabilmente esprimere quel sentimento popolare di una semplicità disarmante che dovremmo far nostro e lasciare in eredità:

Sei pura, sei pia, sei bella o Maria; / ogni alma lo sa / che madre più dolce / il mondo non ha.

– O madre beata, / dal cielo a noi data; / la tua gran pietà, / che bella speranza, / che gioia ci dà.

Muccese o no, a chi va ALLE ASSI suggerirei di recarsi con lo spirito del pellegrino in visita alla piccola Nazareth di un tempo, all’umilissima casa di Gesù, Maria, Giuseppe e, forse, anche di qualche altro parente. Nel SILENZIO dell’eremo troverà sicuramente nuove benefiche sorprese.

L’ultima volta, sono andato sul posto con l’intenzione di far quattro chiacchiere confidenziali con il capo famiglia, quel marito devoto e obbedientissimo, mai in prima fila, presenza quotidiana, discreta e nascosta che è Giuseppe. E m’è riuscito. Di quell’incontro non ho la video-registrazione ma posso riassumere e tradurre a mo’ di “lettera aperta” che amorevolmente può solo iniziare così:

CARO GIUSEPPE, quanto assomiglia il tuo ragazzo ai nostri! Per trent’anni vita nascosta nella tua bottega e in relazione con la sola gente del posto. Trent’anni per imparare ad essere un figlio degli uomini. Lui che veniva da un altro MONDO.

Ha messo a dura prova la tua fede e quella di Maria per quella sua naturalità quotidiana che velava la divinità. Dio non è venuto ad abitare in mezzo a noi passando dalla testa di un filosofo o di un teologo ma attraverso un SI’ dell’umanità nella persona di una adolescente: quella Myriam che siamo abituati a chiamare Maria, di cui ti sei innamorato ed hai voluto sposare. Ed è successo in un punto ben preciso del pianeta: a Nazareth. Già ai tempi si diceva: “Di Nazareth? Da quel paese non può venire nulla di buono” (Gv 1,46) Temo che ai nostri giorni vada ripetendosi il già accaduto. Lì, io non ci sono mai stato e ormai neppure ci conto, ma sono tanti quelli che ci vanno e poi tornano a riferire. Per esempio, che il fonéma ebraico “NSRT, Nazareth, significa “germoglio, virgulto” e che in arabo En-Nasira”, probabilmente corrisponde a “la fiorita”. Curiosità: i crociati la chiamavano “la Floretia della Galilea” (oggi gemellata con Firenze).

Mi colpisce il fiuto di Isaia: “Spunterà un germoglio: nascerà nella famiglia di Iesse, dalle sue radici, germoglierà dal suo tronco. Lo Spirito del Signore verrà su di lui: gli darà saggezza e intelligenza, consiglio e forza. Conoscenza e amore per il Signore...(invito a leggere il passo per intero: Is 11,1ss). E tu, Giuseppe, lì a farlo crescere, a sviluppare la sua intelligenza, a rispettare la sua psicologia, l’ emotività e la vita sentimentale.

Dal Concilio di Calcedonia al Vaticano II, i Padri sono lì a ripeterci che il tuo Gesù, “figlio di Dio”, “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo…” (Gaudium et Spes, 22,2).

A guardar bene, quanto di te c’è in questo modello di educatore senza laurea in pedagogia! Ma vuoi dirmi come hai fatto? Gli è che sei stato presenza che incoraggia, consola, spinge, aiuta, accompagna, conforta, indica, perché questi sono i verbi dell’amore. E tu, ”servo per amore”, memore di quel “non temere” avuto in sogno, valevole in ogni tempo anche per noi, c’insegni a declinarli, cioè a farci prossimo.

A uno dei Piccoli Fratelli di Gesù di Charles De Faucauld, italiano che vive a Nazareth, è stato chiesto cosa facessero lì. La risposta ha fatto andar fuori di testa il richiedente perché sembrava quella di un pazzo: “Andiamo a lavorare e poi andiamo al mercato e parliamo con il fruttivendolo, chiacchieriamo col vicino di casa…”. Proprio quello quello che tu, Giuseppe, hai insegnato a Gesù. Interrogato, avrebbe risposto allo stesso modo: “lavoro in bottega con mio papà, aiuto in casa mia mamma, vado al mercato, parlo con i vicini di casa, mi reco ogni sabato alla sinagoga,…”. Più normale di così!

Vedi, se io, noi, siamo qui a parlare confidenzialmente con te, è perché sentiamo prepotente il bisogno di fare questa esperienza, imparare questa QUOTIDIANITA’ per marcare il territorio in cui viviamo della presenza del divino. Tu sai meglio di noi che Gesù si è incarnato in tua moglie in modo inimmaginabile, perfino paradossale. Ma poi SI E’ INCARNATO NEL TERRITORIO di Nazareth, nelle sue contrade, per i vicoli e le grotte, in mezzo a quella polvere, nel fango dopo le piogge, sterco di giumenti ovunque…e con quell’assortimento di persone e temperamenti. Lì, cucciolo tra i cuccioli d’uomo, ha corso, giocato, pianto. Non disponiamo di foto d’epoca. Ma tu sei garante di questo suo contemplare dal basso stelle e firmamento che fino ad allora aveva ammirato all’alto (“E Dio vide che tutto quel che aveva fatto era davvero molto bello.” (Gen1,31).

Che strano: a conversare con te,il tempo vola e si finisce sempre per parlare del ragazzo, della tua sposa…GRAZIE,TRAGHETTATORE, che dall’alto mare, dove rischiamo di affogare, ci trascini sulla terra ferma a calpestare i nostri prati, ad infangarci le scarpe attraversando le stagioni della vita, sopravvivendo alle pandemie di ogni genere. Tu ci aiuti a OSSERVARE, a FARE SILENZIO, per IMMERGERCI nella vita del piccolo Gesù e di quella poco più che adolescente Maria che non finiremo mai di benedire per averci aperto le porte del Cielo. Che, se ora la invochiamo come “Ianua coeli Porta del Cielo”, sappi che consideriamo te l’affettuoso suo “PORTINAIO” che ci conosce tutti per nome e ci vuole bene. E’ poco? Certamente. Ma è spontaneo, sincero.

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PARADISO – Angelo Nocent

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PER UNA SALUTRE SBORNIA ALLE ASSI – Angelo Nocent

Qui a Monte Cremasco, il lunedì dopo Pentecoste, l’appuntamento al santuario MADONNA DELLE ASSI è d’obbligo. Solitamente vi presenzia anche il Vescovo. I motivi di giubilo non mancano. Ma quest’anno è anche un atto corale di pietà per invocare la fine dell’epidemia, destabilizzante su tutti i fronti. Per noi Pentecoste e Madonna delle Assi sono un’unica festa, un cantare all’unisono il divino e l’umano che si fondono, come alle nozze di Cana. Ma quando c’è di mezzo lo Spirito SANTO, il Card. Martini dava questo suggerimento: “la cosa principale è LASCIAR PARLARE LUI, ASCOLTARE IL SUO RACCONTO”. E’ come dire: INEBRIARSI (ecco la SBORNIA!). Meglio ancora: INNAMORARSI.

Gesù nella parabola del seminatore ci avverte: SATANA come un corvo nascosto ai limiti del campo, spia l’agricoltoree appena la Parola è seminata, si precipita a portarla via. La prova della sua esistenza è la facilità che abbiamo di dimenticarla così presto. Qualche volta basta il tragitto dalla chiesa a casa. Ma un giorno Gesù ha pronunciato parole così sorprendenti da spiazzare perfino il “corvaccio”, rimasto inerme, e sbalordito i discepoli che non se l’aspettavano: “VI CONVIENE, E’ MEGLIO PER VOI SE ME NE VADO…” (Gv 15,7). Li conosceva, li sapeva degli indifesi, nonostante il lungo noviziato. Tramortiti dall’annuncio, per la prima volta nel vangelo, pur tentati di domandargli spiegazioni, nessuno ha osato fare una delle solite sciocche domande, limitandosi a discutere tra loro: “Che cosa vuol dire: fra poco non mi vedrete più; poi, dopo un po’, mi rivedrete…? ” (Gv 16, 16-24). Come ora, anche allora non sono mancati coloro che lo hanno udito e non l’hanno capito, veduto e non riconosciuto, toccato e non sono stati guariti. Il motivo? Perché bisognava VEDERLO, ASCOLTARLO, TOCCARLO con FEDE.

Quando ha detto: E’ bene per voi che me ne vada, è perché il Maestro aveva maturato in cuor suo che quelle povere “zucche” necessitavano di una TERAPIA D’UTO. E così ha fatto. Esalando l’ultimo respiro e reclinando il capo nella morte, Gesù ha donato lo Spirito, cioè aperto la strada dentro la storia umana alla discesa in campo del PARACLITO (avvocato, protettore, consolatore), una presenza costante che precede ed opera. E’ come se dicesse loro: bisogna che vi mandi uno Spirito che vi disponga ad ASCOLTARE, un maestro per il dopo-scuola che non si stanchi di farvi ripassare la lezione, vi ripeta tutto quello che vi ho detto. E allora, ben venga la guida – noi diciamo – torni il Pedagogo che ci impedisca una vita vegetativa. Ecco la spiegazione del tornare ogni tanto ALLE ASSI.

Un giorno un discepolo di Budda, lamentava, come tanti di noi, che la strada è lunga, scoscesa e difficile. La risposta del saggio maestro: Amico, la strada è lunga e difficile perché tu vuoi arrivare subito alla fine del cammino. Il vero fine del cammino non è di arrivare alla fine, MA DI CAMMINARE. Noi cristiani dobbiamo aggiungere: camminare sì, ma NELLO SPIRITO. La prova del nove? I frutti dello Spirito sono visibili: amore, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fedeltà, gentilezza, auto-controllo (Galati 5:22,23).

MA IO COSA CI VADO A FARE ALLE ASSI ?

Avrei mille motivi per andarci; li riassumo in uno: VADO A ZAPPARE L’ORTO. E che si tratti di una vera e propria TERAPIA D’URTO, affiorerà in seguito.

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Vado perché Qualcuno mi chiama in uno spazio di SILENZIO dove posso rientrare in me stesso e mettermi IN ASCOLTO. Nel suo discorso “eucaristico” di Cafarnao Gesù è stato chiaro: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre”(Gv 6,44). La Bibbia è Parola di Dio? Allora il TU con il quale mi intrattengo ogni giorno, è l’ AMATO del Cantico dei Cantici che mi cerca, perché mi conosce, mi ama: Ti porterò nel deserto e ti dirò parole d’amore”. (Os 1,16). E Gesù-Parola sprigiona energia che mi fa, mi accende, mi tiene in vita; è Lui in persona che mi fissa e mi ama (Mc 10, 22ss). Un amato così è portato a fissare le persone con questi suoi magnifici occhi. Io sono TRALCIO di una VITE feconda. Se recido l’innesto, se vien meno la linfa, legno secco divento, non c’è più COMUNONE. Cosa seria che può capitare. E se il FUOCO si spegne, il gelo si fa strada nel cuore.

2

Proprio perché luogo deserto e in mezzo ai campi, mi dischiude all’INFINITO e mi riempie di grande pace. E’ come andare al “distributore” a fare il pieno di benzina, a ricaricare le batterie, per non restare a piedi. Ho in mente le parole di Simone Weil, morta giovane: “Se guardiamo a lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce”. Ha ragione: succede, succede… Il canale che scorre davanti mi ricorda il fiume Giordano che mi rievoca l’evento: “Mentre usciva dall’acqua, Gesù vide il cielo aprirsi e lo Spirito Santo scendere su di lui come una colomba. Allora dal cielo venne una voce: “Tu sei il Figlio mio che io amo. Io ti ho mandato.” (Mc 1, 9-11). Attenzione alle ispirazioni: “Venne una Voce…”. Nel silenzio, LA VOCE si fa ancora sentire.

3

Qui si possono fare anche di giorno gli incontri A QUATTR’OCCHI, come il dottor Nicodemo che, tuttavia, preferiva recarsi da Gesù di notte. Ma la lezione che viene impartita anche ora è sempre la stessa: “Credimi, nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente…Io ti assicuro che nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce Spirito.” (Gv. 3,1-21).

4

Talvolta, all’angoscia di vivere e non sapere perché, si fa dominante una certezza che la alimenta: tu sei sono solo PAURA, una sola grande paura di PERIRE (leggi morire, andare distrutto). E la Voce subito: “Infatti”. Ma “infatti che cosa…?” E’ il momento in cui nell’aria dell’uomo di fede si sprigiona il profumo di antiche secolari consolanti parole:Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia ma abbia vita eterna. (Gv 3, 16-17). Paolo, citando Isaia, ci ha rassicurato che lo Spirito di Dio non solo PRECEDE ma ECCEDE, va oltre ogni nostra invocazione: ”Isaia arriva fino a dire: “Mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a quelli che non mi invocavano” (Rm 10,20; cfr Is 65,1).

5

AMNESIA – Per un attimo non so dove sono. E’ casa mia dove lui è venuto a trovarmi o la sua dove sono andato a bussare…? Quel che è certo è che CI SIAMO PARLATI. Quando torno in me stesso, mi ritrovo al buio con gli stessi problemi…Ma sto meglio. Anzi,pensando alle Sue ultime consolanti parole, provo attimi di FELICITA’ : “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! “. Gv 6, 35-40).

6

Alle Assi vado a CONTEMPLARE la relazione tra Cielo e Terra, tra DIO e l’ UOMO. Chi prega conosce Dio. L’IO dell’orante si incontra e dialoga con l’ “IO SONO” DIVINO, rivelato al Sinai nel roveto ardente (Es 3,14). Se c’è LA COMUNITA’ dei credenti è un andare ad appropriarsi del VANGELO e vivere CRISTO nella DIVINA LITURGIA. Non tanto e non solo a PARLARE di Dio, ma a PURIFICARSI per Dio, con la Chiesa che prega, santifica, intercede, contempla, benedice…NEL SUO NOME. Liturgia e Sacramenti fanno sentire costantemente la PRESENZA di Dio. Ma la mia unione con Lui è vera solo se ho coscienza di essermi RIVESTITO DI CRISTO. (Rm13,14). Il CREDO posso anche recitarlo ma non mi appartiene finché non lo vivo.

Vado a contemplare il mistero di MARIA. Nel marmo dell’altare è scolpita l’Annunciazione. A pensarci bene, fa memoria della sua PRIMA COMUNIONE, di quando ha ricevuto in sé il Corpo di Cristo. Lei è la prima che si è COMUNICATA nella consapevolezza che non accoglieva Gesù da sola, che non lo riceveva per tenerlo tutto sé. No, Gesù non le sarebbe appartenuto, non lei sarebbe stata ad insegnargli ad essere FIGLIO, bensì Lui a indicarle a Lei come essere MADRE: madre di Cristo e perciò di tutto il suo CORPO: di quei milioni e milioni di uomini e donne che si sarebbero aggregati a Lui. Ecco perché è Madre della Chiesa.

Nel Vangelo colpisce l’apparente durezza di Gesù verso sua madre: “chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?”..”Che c’è tra me e te , donna?”. A noi sfugge il “segno”: tra Gesù e Maria c’è INTESA ASSOLUTA: con lei poteva osare, a lei sapeva di poter domandare senza spiegazioni, non aveva bisogno di ricorrere ai giri di parole necessari se l’interlocutore è di corta intelligenza. Quando la guardava, senza parlare e con fierezza portava scritto nelle sue pupille: “LA CREDENTE”. Una gioia grande per Lui. Ma anche per lei. Del resto lo aveva preteso: “Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia di me come tu hai detto.” (Lc 1,38). E ai piedi del Crocifisso che stava per esalare lo Spirito, Maria è diventata TOTALMENTE MADRE: “Donna ecco tuo figlio”(Gv19,26).

7

Vado al Cenacolo perché non posso rivestirmi di Cristo se prima non provo a mettere ordine nell’ANIMA, a liberarla dal terriccio delle cose, da quel fango che si chiama peccato, dalla sabbia delle banalità, dalle ortiche ed erbacce delle chiacchiere. Sono conosciuto, di me si sa già tutto senza che apra bocca e non potrei barare. Ma RICOMINCIARE posso. Devo.

FECONDITA‘, portare frutto, questa è la grande sfida della vita. Se alla fine in mano non mi rimane niente, a che servirebbero i miei affanni ?

8

Vado a chiedere all’INDICIBILE che mi conceda d’invocarlo con FIDUCIA, di potergli dare del TU, di chiamarlo PADRE senza alcun timore, che mi metta GESU’ NEL CUORE e alla sua PRESENZA INCESSANTE. Perché Dio e creatura umana s’incontrano nel crocevia della preghiera, uno snodo necessario che collega e tiene insieme tutte le cose. Ma anche la preghiera ha i suoi verbi: respirare, pensare, lottare, amare.

Pregare è RESPIRARE, condizione di vita odi morte; se la preghiera è’ OSSIGENO per respirare, i SACRAMENTI NUTRONO. A PREGARE POCO, pian piano l’aria viziata intristisce. Poi si diventa asfittici. Senza invocazioni, si deperisce. Anche uno che non mangia, si fa secco, inaridisce.

Pregare è PENSARE. Ma da innamorati. Il Salmista non ha dubbi: “Contemplatelo e sarete raggianti.” (Sal 34,6). Sta dicendo che più lo guardo, più di luce sarò. Liberato dall’angoscia, sul mio volto mai più confusione. La preghiera silenziosa produce l’effetto-innamorati che si guardano negli occhi. Secondo Pascal nella fede come nell’amore, “i silenzi sono più eloquenti delle parole”. Questa è la contemplazione orante.

9

Vado a RIPENSARE me stesso alla luce del FINE. A chiedere che LA PAROLA letta e ascoltata mi conduca sempre a CRISTO realmente incarnato anche nella Parola-VANGELO, realmente presente come nel Pane Eucaristico. Vado a chiedere l’abituale pratica della GIACULATORIA, cara ai nostri antenati: “SIGNORE GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME PECCATORE”. A domandare inoltre il dono della “EBREZZA SOBRIA”, quella “estasi spirituale” di cui erano capaci le nostre nonne. Senza erudizione né TV di aggiornamento culturale, riempivano di giaculatorie le difficoltose giornate: pane con la tessera, raccolto incerto, miseria nera, tifo, pandemie, guerra e figli al fronte…

10

Vado a VENERARE MARIA, madre del “roveto ardente”: Gesù-Dio in lei fornace, un Fuoco che brucia e non consuma, calore che penetra, purifica ma non distrugge, lei ostensorio che contiene l’Eucaristia. Vado a RESPIRARE con respiri profondi il suo ALITO. E’ un’esperienza di ri-nascita, di pronto ristabilimento e ben-essere. Torna quel CORAGGIO che da solo non sapevo darmi. MI RASSERENO e trovo la calma senza ricorrere agli ansiolitici.

Perché Maria è madre delle anime senza vita, delle menti senza luce, dei cuori senza speranza, dei figli che uccisero suo Figlio, dei peccatori, del ladrone non pentito, del figlio non ritornato…è madre di chi lo ha rinnegato, di chi è tornato indietro, di chi non è stato chiamato…è madre di coloro che vanno come Giovanni a cercare i figli di Dio dispersi, di quelli che scendono agli inferi per annunciare ai morti la Vita…madre che prega per noi tutti.” (don Andrea Santoro)

11

ALLE ASSI è possibile SCRUTARE il Cielo dalla Terra. Se lo chiamiamo SANTUARIO un motivo ci dev’essere: “Il Regno di Dio è simile a un TESORO NASCOSTO IN UN CAMPO”. (Mt 13,44). L’immagine mi fa PENSOSO e SOLIDALE anche con quel MONDO GIOVANILE sfuggevole, problematico, che vive appartato e tende a isolarsi. Vorrei rassicurarlo che IL TESORO è solo nascosto tra le ortiche infestanti delle nostre contraddizioni ma C’E‘, C’E‘. Solo che bisogna, aprire la casa, spalancare, ossigenare, essere visitati…Maria non ha cantato il suo Magnificat dopo l’Annunciazione. Le è sgorgato dal cuore solo dopo la VISITAZIONE, ispiratrice Elisabetta. Alle Assi, l’incontro con la Santa Vergine E’ VISITAZIONE: m’incoraggia a credere e m’invita a cantare con Lei il mio Magnificat, a rammentare le promesse di Dio nell’affrontare i miei tormenti del vivere, del già e non ancora: “Ha fatto della mia vita un LUOGO di prodigi, ha fatto dei miei giorni un TEMPO di stupore…Ha guardato me che sono niente…E’ Lui che solleva, è Lui che colma di beni, è Lui che può tutto, Lui solo, il santo, con cuore di madre verso tutti…(Lc 1,46ss)

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Epperò non posso dimenticare che nel recinto delle Assi, dietro le quinte, silenzioso, non dormiente ma operoso, c’è un uomo di nome GIUSEPPE. Non fa più il falegname ma l’istruttore. Non insegna judo arti marziali masolo nascondimento. Patentato aNazareth, ha fatto scuola nientemeno che a Gesù. E’ da lui che ha imparato a fare la volontà del Padre. Tanto da farla diventare suo cibo quotidiano (cfr Gv 4,34) perfino nel momento più difficile della sua vita, vissuto nel Getsemani [16], dove accetta di farsi «obbediente a Dio fino alla morte in croce» (Fil 2,8). Se l’autore della Lettera agli Ebrei conclude che Gesù «imparò l’obbedienza da quel che dovette patire» (5,8), credo che tanto lo debba anche all’esempio ricevuto dal suo papà. E qui è ora che mi fermi. MA CHE ALMENO LO SAPPIANO TUTTI: SE QUALCUNO SI ATTARDA, ALLE ASSI (attivo Cenacolo di prodigi) C’E’ SEMPRE CHI LO ASPETTA, PRONTO AD ACCOMPAGNARLO FINO AL TRAGUARDO.

Angelo Nocent

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UN DEBOLE DI DIO PER GLI ASINI – Angelo Nocent

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DIO HA UN DEBOLE PER GLI ASINI

Nella Bibbia la parola “asino” è menzionata 153 volte. I due animali più associati con Gesù sono la colomba e l’asino. La colomba è un piccione bianco, un uccello spazzatura; l’asino è sinonimo di umiltà e di servizio, l’esatto contrario di uno stallone. Gli asini sono considerati “testardi” e disprezzati come “stupidi” ma in realtà sono intelligenti e fedeli.

Alcuni si tatuano aquile, tigri, draghi e leoni, simboli di forza e di potere. Non ho più l’età per i tatuaggi ma se proprio proprio…io opterei per un asino, magnifica creatura, pur se vista come simbolo di mediocrità, sottomissione, testardaggine e stupidità. Secondo solo ai cammelli per capacità di vivere e lavorare in ambienti desertici, l’ asino può perdere fino a un quarto del peso corporeo per disidratazione e continuare a portare il suo carico. Tanto lavoro e poco riconoscimento.

COME TI ASSOMIGLA, GIUSEPPE! Lo dico in senso elogiativo: “Sembri un asino “personificato”. Prescelto da Dio per l’impresa più strepitosa della storia, sposo di Maria, papà di Gesù, sei proprio il beniamino di Dio. Chi studia queste creature, ci dice che hanno una capacità di apprendimento maggiore dei cavalli, del mulo, del bue. Possono lavorare a temperature rigide, richiedono poco cibo e sono pazienti, gentili, leali. Mentre i cavalli si prendono tutto l’onore per la loro signorilità, bellezza, eleganza e velocità, gli asini sono visti come animali tristi e stupidi. Io penso che, se tu hai saputo svolgere egregiamente il tuo ruolo, lo devi anche al tuo asino, alla confidenza instaurata con lui che ti aiutava sul lavoro, negli gli spostamenti, sempre testardo e muto, ma prudente e saggio, intuitivo e fedele. Lo avrai sperimentato: gli asini si rifiutano di portare un carico eccessivo, crollano giù e rifiutano di muoversi perché, al contrario di noi, conoscono i propri limiti. Gli asini riconoscono il percorso migliore. Se vuoi andare a destra, ma il tuo asino insiste a sinistra, fidati di lui. Se attraversi un fiume in un punto e il tuo asino si oppone e vuole muoversi a valle, fidati di lui. Un cavallo ti farebbe annegare. Gli asini no! Allora i tristi e stupidi finiamo per essere noi quando non sappiamo vedere oltre le apparenze. Prendi Gesù: egli si fidava del Padre e degli asini come te, perché, se da bambino giocavi a portarlo in groppa, negli anni, gli sei stato esemplare maestro di vita.

La domenica delle Palme canteremo gli “Osanna al Figlio di Davide”. So che non è possibile, ma sarebbe educativo che il nostro presbitero-pastore montasse in sella ad un asino e guidasse la processione lungo le nostre contrade, per fare memoria di quel “Figlio di Dio”, polveroso Nazareno, entrato un giorno in Gerusalemme su un asino, Lui, l’Agnello di Dio, il benedetto che viene nel nome del Signore.

Epperò nell’Eucaristia assistiamo, partecipiamo a molto, molto di più: alla kenosis, il suo svuotamento: «Cristo svuotò se stesso (ekénōse), rinunziò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. Abbassò se stesso e fu obbediente a Dio sino alla morte, alla morte di croce”. (Filippesi 2,7). Credo ci possa bastare.

Scavando come un archeologo, anche dalla tua storia ogni tanto ne escono di belle e di nuove. Gli è che ho la fortuna di avere qui, in zona, “Alle Assi”, una preziosa Confidente che sa tutto di te. Non vorrebbe. Ma dovresti vederla: ogni volta che la stuzzico a parlarmene, prima diventa rossa…E poi…spiattella. Ma mi raccomanda di non dir niente a nessuno. Solo che le brillano talmente gli’ occhi che ne traggo una tacita approvazione.

A guardar bene, sembri anche tu incarnare il proverbio che recita: “Attacca l’asino dove vuole il padrone“. Per dirla in gergo: “Attacca ‘u ciuccio addo’ rice ‘u patrone!”. Mi riferisco alla fuga in Egitto. Anche se l’ordine è arrivato dall’Alto, sai bene che per noi suona come pura follia. Per esempio, se svegli la moglie e le dici in tono serio e convinto di prepararsi che domani all’alba si parte per l’Usbekistan, appena si rende conto della sua collocazione geografica, tre sono le cosette che le passano per il cervello: o che devi aver alzato il gomito, oppure che il tuo è un brutto sogno da cattiva digestione, ma senza escludere la necessita di un pronto intervento della guardia medica. Ebbene: con Maria ti sei comportato proprio in questo modo. Bontà sua che lei di te si fidava e non si è spaventata. Era sicura che l’ispiratore di una tale impresa non poteva essere che l’ennesima soffiata del Divino Spirito.

Davanti a tali sicurezze, mi rendo conto che la mia fede, apparentemente solida e ordinata, assomiglia alla spazzatura differenziata: la puoi scomporre, dividere, selezionare, etichettare…ma spazzatura resta. Adesso però il tuo esempio di “uomo giusto” mi sta aiutando a mettere ordine nella testa e nel cuore. Sai bene che in natura, quando un’ape s’appoggia su un fiore, le sue ali si impollinano. Lo stesso accade a chi si accosta a Maria. Ma anche a te che da lei sei stato educato. Ed ora, come lei, anche tu sei contagioso proprio di una sua prerogativa: d’essere UOMO DEL SILENZIO, un polline ideale perché si fecondino e si avverino anche i nostri sogni e annunciazioni. Già! Ho sentito dire che, se ti attacca questo virus, smetti di chiacchierare e cominci a vivere di fede. Clemente Rebora, sacerdote e poeta insegna: “E la Parola zittì chiacchiere mie.” E’ il miracolo che vorrei chiederti.

ARRANGIATEVI

Ti sei accorto? E’ la parola d’ordine che riecheggia in tutto il pianeta. Politici, epidemiologi, infettivologi, portavoce, conduttori di talk-show, quelli degli ordini e contrordini, sembrano dirci coralmente: “Ragazzi, la pacchia è finita. Svegliatevi che la campana della storia suona insistentemente e bisogna rientrare in classe a studiare”. E allora? “Allora ARRANGIATEVI!”. Fortunatamente questo imperativo categorico non appartiene al tuo lessico. Men che meno vorrai utilizzarlo in questo difficile frangente della nostra storia. In un vecchio libro di preghiere fine ‘800, ho trovato che l’orante paragona la tua famiglia alla Trinità. In effetti ha ragione, è proprio modellata su di essa: un vortice d’amore.

Giuseppe, aiutaci ad aprirci al DONO. Gesù si presenta come il Messia di pace che purifica la nostra adorazione a Dio inculcandoci i gesti del DARSI, dello SPENDERSI per gli altri, SCHIENE A SUA DISPOSIZIONE come l’asino. Non c’è animale migliore di lui come simbolo della nostra fede. Anche Gesù lo ha adottato, se n’è servito e lo propone ancora ai discepoli di tutti i tempi. Vieni a darci una mano per mettere ordine alle nostre contraddizioni civili e religiose; soprattutto a farci respirare Cristo. E trascinaci nel turbine infuocato della carità trinitaria dove la parola d’ordine è FIDATEVI. Tu, il muto come un pesce ma eloquente con l’esempio, ci sproni a verbalizzare la Parola ruminata nel silenzio, a trovare parole sensate per dire la fede ai nostri figli, a guardare il Bambino che tieni in braccio, venuto in questo nostro mondo a garantirci che Dio ci ama, a portarci la gioia. Lui che è l’AMORIS LAETITIA, a infonderci la forza e il coraggio di amare.

Buona Pasqua di Risurrezione .

Angelo Nocent

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Menestrello di borgata, ho provato ancora una volta a verseggiare. Umile omaggio di ammiratore devoto, intenzionato ad esserne anche imitatore.

PRENDI CON TE MARIA

1) Ti presenti in sembianze inattese / sulla scena di un’era che è nuova: / non un

grande, un potente, un profeta, / ma un Giuseppe che storia non ha. Rit.

RITORNELLO 1 Prendi con te Maria, / il Figlio dell’Eterno; / gli farai tu da

babbo, / e poi lo chiamerai Gesù.

RITORNELLO 2Raddrizza il domandare / nel modo che tu sai. / Su Gesù

tutto puoi: / Egli obbedisce al suo papà.

RITORNELLO 3 Gesù, Maria, Giuseppe, / casa di comunione: / se minaccia

tempesta, / fiducia in Dio e passerà.

2) Dal tuo volto interiore traspare / la figura di “uomo di Dio, / sempre docile, attento,

in ascolto, / pronto a fare la Sua volontà. Rit.

3) Carpentiere di stirpe regale, / senza titoli e gesta gloriose; / Eri “giusto”: è il solo

attributo / che il Vangelo riserva per te. Rit.

4) La tua vita sommessa s’intreccia / con la vita del Cristo nascente, / di Maria, la

vera tua sposa / che stimavi ed or ami ancor più. Rit.

5) Con un Angelo parli nel sonno, / t’ incoraggia, ti guida e consiglia; / non discuti, ti

lasci condurre; / “Va’ in Egitto…!”, ti fidi di lui. Rit.

6) Bisognosi i grazie e favori, / sempre pronti a chiedere aiuto, / San Giuseppe a te

ricorriamo, fiduciosi contiamo su te. Rit.

7) Sei sensibile ai nostri disagi: / se qualcuno ti cerca, t’invoca, / la tua provvida mano

interviene, / senza indugio ti fai carità. Rit,

(Cantabile sulla melodia di “Dell’aurora” e canticchiabile anche in privato, come spesso mi accade. Angelo Nocent)

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UNA VERA STORIA D’AMORE – Angelo Nocent

UNA VERA STORIA D’AMORE

Uomo di parola, nei Vangeli non dice una parola.

E’ risaputo che sulla verginità dei due coniugi designati per la realizzazione del grande sogno concepito ab eterno dalla mente di Dio, lungo i secoli se ne sono sentite di cotte e di crude, tanto che la Chiesa ha provato a mettere ordine perfino con i DOGMI. Epperò, coloro che ancor oggi strabuzzano gli occhi non mancano. Come può accadere? Una delle ragioni è certamente la fantasiosa interpretazione dei Vangeli del Natale che perdura. I Padri Conciliari nella DEI VERBUM del 18 NOV. 1965 fanno una raccomandazione che vale per chiunque prende in mano la Bibbia: “Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole…Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari.“(n.12). E’ l’argomento del primo giorno di scuola biblica.

Domanda-sospetto: i fatti del Natale (ma non solo) sono tutta invenzione? Gli evangelisti ci hanno ingannati?

Risposta-certa: NO. “Siamo noi che sbagliamo, quando vogliamo accostarci ai vangeli in una prospettiva che non rientra nelle intenzioni dei loro autori e vogliamo risposte a domande che essi non si posero né intendevano porsi. I vangeli, specialmente il vangelo dell’infanzia di Gesù, non sono un libretto di storia. Sono annuncio e predicazione, in cui i fatti reali e detti della Sacra Scrittura o commenti midrashici dell’epoca furono assunti, elaborati e messi al servizio di una verità di fede che essi intendono proclamare.“ (Leonardo Boff).

La nascita di Cristo è un fatto assolutamente miracoloso. Maria ha concepito senza concorso d’uomo, per opera dello Spirito Santo. Menzionando lo Spirito Santo o Spirito di Dio, Matteo – come qualsiasi altro scrittore giudaico – pensa al POTERE CREATORE DI DIO che può interferire anche sulla materia .

Giuseppe e Maria sono fidanzati e secondo il diritto giuridico, lei era ritenuta equiparata ad una moglie, anche se non abitava ancora col marito e la comunione matrimoniale non era ancora iniziata. Si vogliono bene, come tutte le coppie di questo mondo. Ma parlando di lei, la sempre Vergine e di lui, suo castissimo sposo, noi non possiamo eludere il tema della verginità. A tal proposito l’allora Card. Ratzingher scriveva che “a partire da Sant’Agostino la questione è stata spiegata nel senso che Maria avrebbe fatto un VOTO DI VERGINITA’ e avrebbe attuato il fidanzamento solo per avere un protettore della sua verginità. Ma questa ricostruzione fuoriesce totalmente dal mondo del giudaismo dei tempi di Gesù e sembra impensabile in tale contesto. Ma che cosa significa allora questa parola? Una risposta convincente non è stata trovata dall’esegesi moderna…Permane quindi l’enigma -o diciamo forse meglio: il MISTERO– di tale frase. Maria per motivi a noi non accessibili, non vede alcun modo di diventare madre del Messia per via del rapporto coniugale.“ (in L’infanzia di Gesù). Provvederà l’angelo a chiarire tutto ed a rassicurarla.

Con un pizzico di follia, vorrei cimentarmi a radiografare mente e cuore del PRESCELTO da Dio per proteggere sia il Figlio dell’Eterno che sua Madre. Solo che si tratta nientemeno del Figlio di chi sul più bello – il Cielo mi perdoni la sparatagli ha effettivamente soffiato la fidanzata. E, non contento, adesso pretende perfino che lui resti sulla scena con la qualifica di PAPA’. Proprio lui che non ha mosso un dito per diventarlo.

Nell’ultimo numero ci eravamo lasciati con la promessa a San Giuseppe di non lasciarlo fuori dalla porta. Papa Francesco, suo fervente devoto, gli ha indetto un Anno Speciale, durevole fino all’8 Dicembre 2021. In un’omelia della Messa celebrata a Santa Marta non poteva fargli elogio migliore: «non è andato dagli amici a confortarsi, non è andato dallo psichiatra perché interpretasse il sogno ma credette». Così facendo «si è fatto carico di una paternità che non era sua: veniva dal Padre». Affoghiamo in problemi, angosce, oscurità? Non c’è che da imitarlo sul «come camminare nel buio, come si ascolta la voce di Dio, come si va avanti in silenzio».

Un buon motivo per continuare a parlarne, scavando nei fatti e nei personaggi del Vangelo dove di lui si parla, per scoprire nuovi sensi e sfumature della Parola di Dio, la sola capace di cambiarci il cuore. Non si tratta di curiosità perché la sua storia “I care”, mi e ci riguarda, mi e ci sta a cuore. E se e ci interpella èperché ci appartiene, è cronaca attuale. Ma il cuore può intendere e venerare sino in fondo solo se proviamo a mettere al PRESENTE tutti i verbi che hanno attinenza con lui.

L’argomento appassiona talmente poco che un parroco di oggi, intervistato, ha dichiarato testualmente: “Maria sempre vergine è un po’ difficile da leggere nel nostro contesto culturale. La verginità è un valore disprezzato. Io conosco tante ragazzine anche della parrocchia che lo considerano un peso. Questo è normale in tutte le società pagane, come siamo noi.”. Solo le ragazzine? I ragazzi non sono da meno. E allora perché parlarne? Perché i Vangeli della Natività che abbiamo lascito alle spalle ce lo impongono. E Giuseppe, in questo mistero di luce incandescente vi è dentro fino al collo. Ma, se si vuol per capire qualcosa di lui bisogna sempre passare da lei, la sua amata sposa, che ci aiuta a guardarlo non come un “mazziato e cornuto”, ossia picchiato, bastonato e per giunta beffeggiato, per dirla nel gergo napoletano, ma al marito migliore e mondo. Per dare un dispiacere a Maria bastano anche solo parole ammiccanti, sospettose, burlone. Perché è come mettere in forse la sua sincerità di moglie fedele e devota, visceralmente amante e dallo sposo teneramente amata. Oh! Lui per amore di Maria e del Bambino, saprebbe sopportare qualsiasi infamia e tacere. Ma a noi è richiesto di contemplare e stupire. Perché quest’uomo ha saputo amare la “bellissima” (tota pulchra) e la “piena di grazia” (gratia plena) come nessuno. E lo ha fatto anche per noi, miopi e “lenti a credere quello che i profeti hanno scritto.”(Lc24,25).

Bene. In questa storia carica di enigmi, Giuseppe assomiglia un po’ al nostro Don Roberto che, se può appena, -fateci caso- scansa le fotografie. Uomo discreto, persona riservata, Giuseppe è sempre “fuori dalle foto”. Ma ugualmente vivo, in azione. Prendo a prestito un aneddoto: “Due sorelle. sfogliando il nuovo manuale di religione, vedono un’immagine della Vergine Maria con Gesù. Dice la maggiore: – Guarda, questo è Gesù e questa è la sua Mamma. E la piccola chiede: – E dov’è suo papà? La sorella ci pensa un attimo e risponde: – Ah! Lui sta facendo la foto!”

Sì, fuori dalle foto ma sempre davanti a Dio che per lui è PRESENZA. Dinanzi all’Ineffabile e all’Inesprimibile, sta in SILENZIO ADORANTE. Dunque, vale la pena continuar a parlare di questo ebreo misterioso, povero in canna, ma discendente dalla regale famiglia di Davide; muto, ma per scelta, non per imposizione, come è accaduto a Zaccaria.(Lc 1, 8-23). Così lo scrittore G. Santucci: Giuseppe “può custodire proprio perché è trasognato, può vigilare perché è assorto, può diffidare perché ingenuo, guidare perché inesperto“. Ognuno nell’imitarlo sappia regolarsi.

Angelo Nocent

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NATALE E’ FARE MEMORIA DEL SIGNOR “PAGO IO” – Angelo Nocent

VENGO dal nostro eremo delle “ASSI”. Dovendo scrivere sul Natale, sono stato a prendere ispirazione per due buoni motivi:

-il primo perché Maria è il CALAMAIO dove intingere il pennino sia per parlare di lei, DONNA DELL’ASCOLTO, che del suo Bambino, PAROLA diventato un UOMO, vissuto in mezzo a noi uomini ed ora GESU’- IL CROCIFISSO RISORTO;

-il secondo, per rileggermi e contemplare nel silenzio il prologo-mozzafiato del Vangelo di Giovanni.

Vengo dal nostro eremo delle “Assi”. Dovendo scrivere sul Natale, sono stato a prendere ispirazione per due buoni motivi:

Invito a prendere in mano la Bibbia di casa. Il testo che stralcio non andrebbe letto ma bevuto a piccoli sorsi, perché molto denso e bollente:

1- “In principio, /prima che Dio creasse il mondo/ c’era colui che è “la Parola”. / Egli era con Dio, / Egli era Dio. 2 – Egli era al principio con Dio. 3 – Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. / Senza di lui non ha creato nulla.

14 – Colui che è “la Parola” è diventato un uomo / ed è vissuto in mezzo a noi uomini. / Noi abbiamo contemplato il suo splendore divino. È lo splendore / del Figlio unico del Dio Padre, pieno della vera grazia divina!”. (Gv1,1-15)

10 – Egli era nel mondo, / il mondo è stato fatto per mezzo di lui, / ma il mondo non l’ha riconosciuto.11 – È venuto nel mondo che è suo / ma i suoi non l’hanno accolto.

Che tu sia giovane o avanti negli anni come me, entrambi dobbiamo non solo sapere ma anche ricordare che circa il nostro PASSATO non è bene vivere nel buio o alla giornata. Bisogna conoscere le proprie radici storiche perché è il solo modo per diventare un essere ‘umano’, ossia molto più di una scimmia evoluta. Soltanto così si può evitare di sentirci dei FLUTTUANTI nel vuoto. Se è vero che la storia del genere umano ci appartiene, tanti o pochi che siano gli anni che trascorriamo su questo pianeta, essa diventa anche “la mia storia”. In un certo senso noi contemporanei abbiamo sulle spalle migliaia di anni. Un fardello invisibile, ma che pesa, eccome…!

Si tratta della pagina più difficile di tutti i Vangeli, sulla quale anche i migliori esegeti provano le vertigini. Figuriamoci noi! Ma non è stata scritta per i marziani. Le comunità delle origini erano meno erudite delle nostre, ma le hanno raccolte, gelosamente custodite nel cuore e tramandate. Natale è questo: uno shock all’intelligenza e all’emozione. E per quanto io ci capisca, Dio si fa uomo nel Figlio Gesù per via di un conto salato in sospeso. Egli nasce, cresce e un bel giorno, ormai trentenne, invece di dire ai commensali “facciamo alla romana, ognuno paghi il suo”, spiazza tutti con un clamoroso: “PAGO IO. Perciò sento che mi riguarda, eccome! Poi vanno bene gli auguri, non guastano zampogne, luci, musiche, regali, cene, panettoni… Ma sempre salvando l’essenziale: l’interiorità. Diversamente, è solo fumo, luccicanti bolle di sapone.

Bene: durante il “quindicesimo anno” dell’impero di Tiberio Giulio Cesare Augusto, e precisamente a Betlemme di Giuda, una notte, in una grotta buia e fredda adibita a stalla, vide la luce (eufemismo!) un bambino che chiamarono GESU’. Sulla base di indizi diversi, gran parte degli studiosi presumono l’anno della sua nascita il 6 ed il 4 d.C. Il nostro 25 Dicembre si spiega semplicemente col fatto che, durante l’impero romano, questo era il giorno della nascita del Sole Invitto, il Dio Sole, qualedivinità principale. Secoli dopo, nel 330 d.C., l’Imperatore Costantino decreta la celebrazione cristiana della nascita del Redentore, facendola coincidere con la festa pagana. Così, secondo la legge, il SOLE da adorare è diventato ufficialmente GESU’-LUCE. Ma i cristiani, memori delle divine parole, già da prima lo facevano: “Io sono la luce del mondo. Chi mi segue, non camminerà mai nelle tenebre, anzi avrà la luce che dà vita.” (Gv 8,12).

REGNANTE CESARE AUGUSTO

Epperò…Tanti di coloro che lo conobbero, avrebbero preferito che non fosse mai nato. Così, fattosi adulto, uomini importanti di allora che conoscevano a menadito le Sacre Scritture, si misero all’opera affinché venisse liquidato perché chiacchierone ingombrante. Senza andare lontano nel tempo, c’è di nuovo chi non vuol nemmeno sentir pronunciare il suo nome: un menagramo (dal milanese menagràm), portatore di iella. Oggi, più e meglio di allora, ci rendiamo conto del perché sia stato crocifisso. E non appare così strano, dal momento che ne ha dette e fatte di così grosse che alcuni ancora temono la sua influenza più del corona virus. Il che la dice lunga!

Questo trentenne giovanotto girovago, non era un rivoluzionario terrorista ma appariva come uno squallido e solitario radicale sognatore. La pretesa che aveva di voler mettere a nudo i tali e tanti interessi e giochi di potere, faceva pensare ad uno squilibrato, fuori dal mondo. Era un guastafeste e come tale, necessariamenteDOVEVAESSERE SOPPRESSO: eliminarne uno per il bene di tutti. Magari fosse finita lì! Pur morto e sepolto, lo spirito di Gesù mise e mette ancora paura, fa tremare i potenti. Per una ragione che già i migliori pensatori di Atene ritenevano assurda: che di Lui, ucciso da un pezzo, circolasse voce che è RISORTO, dunque vivente. Una stramberia tale che quando Paolo prende la parola nell’ Aeropago, ai piedi dei maestosi templi dell’acropoli, sono tanti a SCHERMIRLO per le sciocchezze che aveva trovato il coraggio di raccontare agli intellettuali, sia sulla risurrezione dei morti in genere che quella di Lui in particolare.

– predicava la salvezza e il perdono di Dio per tutti gli uomini;

– alle persone che incontrava divulgava “bestemmie”. Per esempio, era capace di

Ma questo povero bambino-prodigio, inerme, indifeso, con due genitori buoni come il pane, venuto a terrorizzare dotti e potenti, cosa diceva di così pericoloso e blasfemo? La gente da secoli aspettava un LIBERATORE, un nuovo re della stirpe di Davide, finalmente capace di ripristinare la potenza d’Israele e di costituire il “Regno di Dio”, mettendo fine alle sofferenze subite sotto il dominio romano. GESU’ l’ebreo, fece capire chiaramente di non essere in alcun modo un rivoluzionario militare o politico. Risultato? Per molti era un povero “illuso”, per altri un “deludente”. Ma nel suo dire e fare c’era qualcosa che metteva all’erta:

dire a qualcuno: Ti sono perdonati i tuoi peccati;

– peggio ancora: chiamava Dio abbà-padre, nel significato di babbo, papà,

  • e che bisogna perdonare non sette volte soltanto, ma settanta volte sette…Come dire che il perdono senza amore non ha né ali né radici e diviene un gesto vuoto di significati e di pacificazione solo apparente.

Insomma, uno così sembrava proprio scappato dal manicomio, pericoloso a sé e agli altri (Mc 3,31-35).

espressione senza precedenti nell’ambiente ebraico.

In effetti, nella sua predicazione Gesù parlava spesso di “Regno di Dio” ma con un’accezione alquanto diversa: lo concepiva come amore per il prossimo, cura per i deboli ed i poveri, perdono per coloro che hanno sbagliato.

Questo barbuto, squattrinato, vestito di una semplice tunica e sandali ai piedi, dichiarava senza ritegno che il Regno di Dio o Nuovo Patto, consisteva:

Ma non è finita:

– non solo nell’ “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma nell’ «Amatevi gli uni gli altri”, con una piccola sottolineatura: “Amatevi come io vi ho amato.” E rimarcava: “Da questo sapranno che siete miei discepoli: se vi amate gli un gli altri (Gv13,34-35);

– ed è giunto a dire che si devono amare i propri nemici;

– e che, se ci colpiscono, non bisogna reagire con violenza bensì “porgere l’altra guancia”,

-Ma la sparata ancora più grossa è stata questa: i peccatori davanti a Dio sono più giusti, quindi più degni e bisognosi del suo perdono, di coloro che si vantano di essere senza macchia e senza peccato. Di esempi ce n’erano a iosa: “O Dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini: ladri, imbroglioni, adulteri. Io sono diverso anche da quell’esattore delle tasse. Io digiuno due volte alla settimana, e (non sono un evasore fiscale) offro al tempio la decima parte di quello che guadagno”. (Lc 18.9ss)

-Durante la sua vita Gesù ha dimostrato di non sentirsi superiore a nessuno;

-Parlava con prostitute, pubblicani corrotti e nemici politici del popolo;

-Spingendosi oltre, è riuscito a dire che un figlio che ha sperperato tutta l’eredità del padre o un corrotto pubblicano che ha sottratto del denaro, erano giusti davanti a Dio se si rivolgevano a Lui e chiedevano perdono, perché è tale la Sua generosità da superare le nostre logiche.

Nella culla che sbalorditi contempliamo, c’è un candidato al patibolo, il più giusto dei giusti che verrà condannato a morte e crocifisso. Questo profetizzato “servo sofferente”(Is 53) è Colui è un giorno non si tirerà indietro, metterà una mano sul cuore e l’altra sul “portafoglio”, per compiere un gesto clamoroso che solo un Uomo-Dio poteva progettare ed attuare: “PAGO IO, PER TUTTI. Diciamocelo: un tipo così che fine poteva fare se non quella che ha fatto? Il Natale è l’entrata in scena di un uomo inconcepibile, mai visto né prima, né dopo di Lui. Ma lei, Maria, la “vergine madre, figlia del suo figlio” (Dante), ha preteso di contribuire e così il debito è stato estinto per i secoli dei secoli. E Giuseppe? Un grande che che non possiamo chiudere fuori dalla porta e perciò ne riparleremo.

L’augurio è che in ogni casa vi sia uno (maschio o femmina), disposto a dire: “PAGO IO!”. A mezzanotte o no, la Messa è il luogo più idoneo per la stesura del rògito quale assunzione d’impegno.

Angelo Nocent

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A KAGOSCIMA sui passi di S. FRANCESCO SAVERIO – Angelo Nocent

Ho avuto la fortuna (GRAZIA) di dimorare per qualche tempo a Kagoshima e dintorni dove un giorno sbarcò San Francesco Saverio. Con la liturgia odierna che ne fa memoria, provo a ripercorrere quel viaggio.

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San Francesco Saverio primo missionario in Giappone

A San Francesco Saverio sono bastati dieci anni di lavoro missionario, fatto con intelligenza e assoluta dedizione per il nome di Gesù, per guadagnarsi sul campo i titoli di Patrono dell’Opera di Propagazione della Fede (1904) di Patrono delle Missioni (nel 1927 insieme a Santa Teresa di Gesù Bambino, mai stata in una missione vera e propria).

Ma già nel lontano 1748 era stato dichiarato Patrono dell’Oriente. È una delle più grandi figure del 1500 e della storia della Chiesa moderna. 

Kagoshima – Reliquiario San Francesco Saverio – Cattedrale

Nacque nel castello di Xavier, nella Spagna del nord, nel 1506. Sesto figlio di Maria e di Juan de Jassu, che aveva studiato a Bologna e che allora ricopriva la carica di presidente del Consiglio reale di Navarra. Era di famiglia nobile. Ma già da bambino conobbe il dolore per la perdita del padre. Dopo essere entrato nel clero di Pamplona, nel 1525 si recò a Parigi per proseguire gli studi. Quella di Parigi era una delle famose università del tempo di respiro “europeo” (insieme a Bologna, Salamanca, Oxford, Padova, ed altre) che attirava studenti da tutta Europa.

Nel 1530 Francesco diventò “Magister Artium” oggi si direbbe si laureò in Lettere. Cominciò ad insegnare perché gli interessava la carriera accademica. Nel collegio Santa Barbara, dove risiedeva, conobbe Ignazio di Loyola, altro spagnolo in trasferta a Parigi per studi. L’incontro voluto dalla Provvidenza si rivelò decisivo per la sua vita. Egli stesso scriverà in una lettera: “Quale grazia Nostro Signore mi ha fatto nell’aver conosciuto il signor Maestro Ignazio”. Questi aveva 15 anni più di lui, quindi più maturo di anni, più esperto della vita e più avanti nel cammino spirituale: si era già “convertito” a Gesù Cristo. 

  Kagoshima – La Cattedrale

Dopo lunghe conversazioni con Ignazio nel 1533 avvenne la “conversione” definitiva di Francesco a Gesù Cristo. Continuò inoltre a far parte di quel gruppo di “ignazisti” che nel 1534 a Montmartre emisero i voti religiosi: era il primo nucleo della Compagnia di Gesù, chiamati poi Gesuiti. Diventato sacerdote a Venezia nel 1537, e dopo un po’ di apostolato nelle città di Vicenza e di Bologna, fu segretario di Ignazio di Loyola per il biennio ’39-’40. Poi la svolta radicale, che avrebbe segnato per sempre la sua vita. Nel 1540 Francesco accettò con entusiasmo di sostituire un missionario in partenza che si era ammalato. Il papa Paolo III lo nominò nunzio apostolico per le Indie.

Missionario tra i pescatori di perle

Il 1500 è stato un secolo di grandi navigatori. La scoperta dell’America da parte del genovese Cristoforo Colombo nel 1492 aveva risvegliato l’entusiasmo. Il mare non faceva più paura, non era il nemico dell’uomo di cui bisognava diffidare. Nel mare si tornavano a vedere grandi opportunità: nuove vie di comunicazione, certamente, ma anche di arricchimento veloce (molto spesso a spese degli indigeni) mediante il commercio.

Francesco Saverio partecipò di questo spirito di avventura proprio di tanti navigatori del secolo. “Per lui mari e oceani non furono mai barriere d’ignoto e di paura. Erano strade aperte. Vero uomo dell’Evo moderno, non tollerava limiti nell’andare. Ma la sua meta non erano l’oro e l’argento del Nuovo Mondo appena scoperto: affrontava onde e tempeste solo per incontrare altri uomini, ignorando confini e barriere di razza o lingua o cultura. Tutti erano destinatari della notizia cristiana e lui doveva farsene messaggero. Nulla e nessuno era troppo lontano o troppo diverso” (Domenico Agasso).

Erano molti quelli che sfidavano i mari per arricchire se stessi materialmente. Francesco e tanti altri missionari (prima e dopo di loro) affrontavano le stesse fatiche e gli stessi rischi per arricchire gli altri spiritualmente.

Nel maggio del 1542 era a Goa, allora capitale delle colonie portoghesi dell’Oriente. Furono questi per Francesco mesi di intensa attività pastorale, nel settore della formazione del clero indigeno. Era tornato un po’ professore. Ma sentiva nel profondo del cuore che questo non era il suo compito e il suo destino. Il suo primo lavoro missionario fu nelle coste meridionali del subcontinente indiano e nell’isola di Ceylon. Lavorò con dedizione e amore tra i pescatori di perle, convertiti da poco tempo, e privi di cure pastorali. Questi appartenevano ad una delle caste più basse dell’India: Francesco ne imparò la lingua, il tamil, li istruì scrivendo per loro un Catechismo, e li difese politicamente dagli invasori.

Nel biennio ’45-’47 lavorò nelle isole Molucche, appartenenti anch’esse alla diocesi di Goa. Oltre agli indigeni egli si occupa anche dei mercanti portoghesi, giunti nelle Indie per arricchirsi. Anch’essi avevano bisogno delle sue cure pastorali.

Francesco non si è stabilito in modo permanente in nessun luogo di missione. Un po’ come san Paolo, il suo grande modello, lui doveva iniziare il lavoro missionario più difficile, seminare i campi di seme evangelico, altri lo avrebbero coltivato e curato, altri ancora avrebbero raccolto. Voleva personalmente conoscere tutta l’Asia, per informare il Papa su questo nuovo mondo.
E per realizzare questa spinta missionaria ecco che Dio gli prepara un altro incontro provvidenziale. Anche questo darà una svolta decisiva alla sua opera di evangelizzatore.

“I Giapponesi amano ascoltare le cose di Dio”

Verso la metà del 1547 nell’isola di Malacca Francesco Saverio fece la conoscenza di un indomito lupo di mare, di nome Yajiro, un ex pirata dei mari della Cina. Particolare fondamentale: era giapponese. Questi gli fece una bellissima descrizione del Cipangu, cioè del Giappone. Yajiro parlava dei propri connazionali come di un popolo di buona cultura, animato dal desiderio di imparare e dell’interesse anche per le cose religiose. Francesco ascoltava tutte queste cose, sognando già il suo nuovo campo di apostolato. Voleva presto rispondere a questo desiderio dei Giapponesi di conoscere “cose nuove su Dio”.

Quest’anno cade proprio il 450° anniversario del suo arrivo in Giappone. Arrivò infatti il 15 agosto 1549, precisamente a Kagoshima insieme ad un suo compagno missionario e Yajiro che frattanto aveva ricevuto il battesimo prendendo il nome di Paolo della Santa Fede: sarebbe stato il suo interprete. Il primo approccio con i nuovi amici da portare a Cristo non fu semplice. Francesco trovò un paese in preda alle lotte fra i grandi feudatari e latifondisti, con un potere centrale imperiale che non si imponeva.

Il problema della lingua affiorò subito. Data la modesta cultura dell’ex pirata diventato interprete le difficoltà furono tante. Impiegò ben quaranta giorni ad imparare i comandamenti in giapponese. I frutti di conversione arrivarono e furono abbondanti e consolanti.

Lui stesso scriveva con entusiasmo ai Gesuiti di Goa questo bellissimo elogio dei Giapponesi di allora: “La gente con la quale abbiamo finora parlato è la migliore che abbia mai incontrato, e credo che tra gli infedeli non se ne troverà mai altra che superi i giapponesi. È gente sobria nel mangiare; molti sanno leggere e scrivere; hanno una sola moglie; pochi sono i ladri; amano ascoltare le cose di Dio”.

Cresceva intanto l’opposizione alla sua predicazione da parte dei bonzi buddisti. Cercò una strada diversa, per vincere questa resistenza. Puntò in alto, molto in alto, all’imperatore stesso. Voleva ottenere il permesso di predicare da lui stesso. Ma qui fece un errore: l’aspetto umile dei missionari, il loro modo di vestire suscitò invece che attenzione disprezzo tra la gente, con il risultato che non venne ricevuto dall’imperatore.

Cambiò subito strategia e metodologia evangelizzatrice. Oggi si parla molto di adattamento e di “inculturazione” per poter annunciare il Vangelo. Non è certo una novità nel campo della evangelizzazione. La storia della Chiesa porta molti esempi. Sulla scia del primo evangelizzatore, di Gesù Cristo stesso. Nel secondo incontro Francesco ed i suoi amici si presentarono vestiti secondo l’etichetta, portando all’imperatore dei doni europei. Ottenne così il permesso di predicare liberamente e fare conversioni.

Nel Giappone Francesco battezzò più di mille persone. Riuscì a formare delle buone comunità di cristiani, compatte e composte da tutte le classi sociali.

Ma sempre più sovente affiorava una obiezione. Francesco presentava il Cristianesimo come la verità in campo religioso, superiore alle altre religioni conosciute dai Giapponesi. Questi però gli dicevano: se nel cristianesimo c’è la verità come mai in Cina non ne sanno niente? Per i Giapponesi di allora la Cina era il paese guida, in tutto, dalle scoperte scientifiche alle ultime mode. Quindi doveva conoscere anche il Cristianesimo se questo era la verità. E Francesco che conosceva bene la logica decise subito di partire per la Cina. Cristianizzata la Cina, in Asia non ci sarebbero state altre difficoltà.

È proprio vero che l’uomo propone e Dio dispone. Francesco lasciò il Giappone per far ritorno a Goa e qui preparare il viaggio. Dopo varie difficoltà arrivò a Canton, porta verso la Cina. Accompagnato da un solo compagno, cinese e cristiano, colto da forti febbri, morì sull’isola di Sanchnan, proprio davanti alle coste cinesi. Era il 1552. Aveva solo 46 anni. Il suo sogno svaniva. Ma altri ben presto nel suo ricordo e seguendo l’esempio, avrebbero ripreso l’idea e realizzato il progetto.

Missionario catechista

San Francesco Saverio fu un grande missionario e un grande catechista. E fu grande missionario perché grande catechista. Questo lo dimostrò nella sua prima missione nell’India meridionale. Nel suo metodo missionario procurò subito di imparare la lingua dei suoi catechizzandi. Ebbe poi una opzione preferenziale per i bambini e i ragazzi. Proprio per essi preparò dei Catechismi. Per gli adulti invece creò un “metodo per pregare” e anche un catechismo adatto a loro.

Nel Giappone, cambiando i soggetti da evangelizzare, cambiò metodologia. Ne studiò prima la struttura sociale, quindi cominciò i primi approcci con i signori feudali e con i bonzi, attraverso numerose “discussioni o dialoghi”.

San Francesco Saverio dava grande importanza al ministero della Parola, e questa annunciata con stile popolare. Lo considerava come il centro di tutta la evangelizzazione. Lui stesso affermava: “Le vostre prediche saranno frequenti tanto quanto protranno esserlo, poiché questo è un bene universale da cui si ottiene molto frutto, servizio a Dio e vantaggio per le anime”.

Da http://www.lorenzoegiovannibattistaformia.com/oratorio/index.php?option=com_content&view=article&id=104&Itemid=201
 

San Francesco Saverio nel piazzale della Cattedrale di Kagoshima

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IL MIO PASTORE (1) – Angelo Nocent

Propongo una serie di riflessioni sul Salmo 23 (IL SIGNORE è IL MIO PASTORE che saranno pubblicate a puntate. Ma ora tecnicamente è diventato più complicato, gratuitamente quasi impossibile. Infatti non riesco a procedere: blocchi da tutte le parti. Comunque, sono raggiungibile su Facebook:
Angelo Nocent | Facebook

https://www.facebook.com/angelo.nocent

IL MIO PASTORE – Angelo Nocent

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